
Domenica mattina, presto. Non troppo presto in effetti, considerato che non sono proprio il tipo che si sveglia all’alba. I miei amici e compagni di esplorazione – Maurizio e Nicola – ne avrebbero di aneddoti da raccontare sui miei ritardi cronici. In ogni caso, torniamo a: domenica mattina, presto. La bruma non si è ancora levata dai campi, c’è quell’atmosfera sospesa del giorno che inizia in campagna: i primi tramestii di chi si prepara ad uscire, quella cappa fumosa ed un poco dorata stesa come un velo sopra i prati. Ha anche un’odore quel momento, se dovessi definirlo lo chiamerei forse il profumo delle cose che iniziano.

La villa abbandonata si intravede, ancora lontana. Ci sono campi aperti da passare – inosservati, possibilmente – e poi rovi, i soliti rovi che ci obbligano anche in pieno agosto a muoverci completamente coperti – sudando sette camicie. Finalmente un guado – un fosso, e cambi epoca. E’ così che funziona: c’è un vero e proprio Stargate, solo che anziché portarti su un altro pianeta ti porta indietro nel tempo come la DeLorean di Ritorno al Futuro. Ecco il giardino – quel che ne resta, tra alberi cresciuti a sproposito e arbusti dalle dimensioni di dinosauri. E poi, una porta – o una finestra: aperte, che non si va in giro a scassinare cose; per chiarirci.

Ecco, l’attimo in cui entri è pura magia. Io per dieci attimi così li donerei dieci giorni di vita, non ci rifletterei neanche per un secondo. Perchè se c’è un momento in cui si sintetizzino ed armonizzino felicità, paura, coraggio, meraviglia, spavento, adrenalina e curiosità – ecco, è quello. Non può aver nome: non è una singola emozione, bensì un cocktail esplosivo. Poi, l’esplorazione: ti muovi piano, perchè spesso le strutture sono pericolanti; non sai se incontrerai qualcuno, ogni porta è una domanda a cui vuoi rispondere aprendola. E poi dicono che quando ce ne andiamo non resta niente. Se così fosse, cosa sarebbe quella vita che respira dentro a queste stanze? Apri un armadio, ecco lì ancora perfettamente appesi gli abiti degli anni ’20. Riposti, con cura, cappelli e guanti. E, guarda! Un piccolo medaglione di vetro, con dentro una fotografia in bianco e nero ed un ciuffo di capelli.

Chi sarà stato, che aria avrà respirato. Quanti amori avrà avuto, e che sguardo, e che terre avranno calpestato i suoi stivali. Una lettera, anzi due; d’amore. Piccole testimonianze delle vite che furono – e che sono ancora, perchè aleggiano dentro alla propria dimora quasi come spiriti buoni, accoglienti. Quasi come i Lari romani, ricordate? Protettori della casa e della famiglia. Un velo di tristezza copre gli occhi: nessuno che legga queste lettere polverose? Nessuno che voglia conservare questa fotografia sotto al cuscino? Nessun figlio, o nipote. Nessuna famiglia? Non lo sappiamo, spesso rimane solo un grande punto di domanda. A volte la vita costringe a scelte forzate – scappare dalla guerra, emigrare. A volte, i figli non arrivano – si diceva una volta che erano doni del Signore. Altre volte, sono modernissime battaglie di eredità lasciate ad incancrenirsi sui tavoli degli avvocati mentre le memorie vanno a rotoli. Tutto questo e molto altro ancora si nasconde dentro le vite degli altri.

Dentro a bauli che, quando li apri, ancora ti riempiono il naso con l’odore della naftalina. E ci sono album di fotografie in bianco e nero, con didascalie scritte con cura da calligrafie piene d’amore. Ci sono storie, tante storie. E quando esci, te le porti dietro – perchè ti sono entrate un po’ dentro, nel cuore. In punta di piedi ritorni al presente, ma avverti un calore, un – grazie, sei venuto a trovarci.

Bellissime parole! Condivido in pieno la tua descrizione del momento stupendo in cui si entra in quella nuova dimensione…
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie mille … sì, è proprio così che ci si sente
"Mi piace""Mi piace"