Oggi incontriamo Piero, un soldato qualsiasi di leva all’inizio della Grande Guerra, ragazzo non ancora uomo ma che da uomo deve combattere. 830 metri sul livello del mare, posizione spettacolarmente strategica e dominante: siamo al Forte di Valledrane, gigantesca opera difensiva antecedente al primo conflitto mondiale. Il progetto per la sua costruzione fu approvato nel 1906 e già nel 1912 il forte fu armato di sei cannoni da 149 mm.

La linea difensiva prevedeva anche un forte a Cima dell’Ora, la Rocca d’Anfo ed un appostamento per cannoni sul Monte Manos, che avrebbe dovuto proteggere in caso di bisogno il forte di Valledrane stesso. Da qui vennero sparati alcuni colpi nei primi giorni del conflitto, prima che la linea si spostasse decisamente più a nord; Valledrane fu disarmato a conflitto ancora in corso e riarmato nel 1918, quando le ultime mosse del nemico fecero pensare ad una possibile controffensiva.

Accompagnava il forte un grande complesso di caserme, la cui storia approfondiremo nel prossimo articolo – essendo esse andate incontro ad un destino d’abbandono diverso e particolare. Durante la seconda guerra mondiale il forte fu utilizzato come deposito munizioni, poi abbandonato all’incuria. Oggi è raggiungibile a piedi senza difficoltà, è accessibile anche internamente ma raccomando grande prudenza ed attenzione viste le condizioni dell’edificio. Molte scale sono infatti crollate, soprattutto a seguito delle numerose asportazioni di materiale.

Meravigliosi sono i giochi di colore creati dall’umidità sui muri: si stanno formando, piano piano, bellissime stalattiti e stalagmiti ovunque. Rimangono alcune scritte d’epoca come quella fotografata qui sopra; molti ahimè sono invece i graffiti moderni. Spettacolare è la vista da sopra il forte: la Corna Blacca, le Piccole Dolomiti Bresciane (separano l’Alta Val Trompia dalla Val Sabbia), il Monte Guglielmo, il gruppo del Brenta, la Rocca Pagana, lo Stino, il Pizzoccolo e il Monte Spino.

Proviamo ad immaginare la vita dentro a questo enorme labirinto di cemento: la vita di Piero, il nostro soldato “con la divisa di un altro colore”. La lontananza da casa, la convivenza forzata con decine di esseri umani che mangiano, parlano, respirano in modo diverso – Piero sopporta tutto questo, così come l’odore pungente della latrina all’alba, che se sei fortunato hanno usato solo una quindicina di soldati prima di te. E la lana ispida dell’uniforme, che dopo settimane cammina da sola; la coda per il rancio, dove è meglio arrivare verso la fine, che i primi si prendono solo il brodo e quel poco di sostanza rimane in fondo al pentolone.

Ogni volta davanti all’odore di quell’intruglio caldo si materializza il pensiero della mamma, delle cene silenziose vicino al fuoco amico del caminetto in cucina. Qui invece ci sono solo freddo e neve e grida e risate continue di chi ha bisogno di alzare la voce per non morire – di paura, di noia, di nostalgia, di guerra. Non si sente il gallo cantare al risveglio, il giaciglio è duro ed ogni notte la voglia di casa è più forte. E Ninetta è lontana, chi lo sa come sta, non basta quel biglietto sgualcito puntato sul legno della cuccetta a spezzare l’amara distanza. Nulla qui ricorda i suoi baci acerbi di ragazzina, nulla somiglia al profumo dei suoi capelli – come di fieno quando lo rimesti, un odore di cose buone.

Ma chi l’ha inventata, la guerra. Chi lo ha inventato il nemico, ti indicano chi è ma quando lo guardi vedi allo specchio i tuoi occhi. E senti il moschetto più pesante, pesa di ricordi e speranze; quando spari pesa di sogni spezzati. I sogni di Piero sono ancora dentro queste mura, ma noi li abbiamo dimenticati, non portiamo più rispetto al sacrificio di queste giovani vite: lasciamo marcire i luoghi che li hanno visti crescere troppo in fretta, questi ragazzi del ’99, strappati a forza all’infanzia e mandati allo sbaraglio a morire ammazzati.

Cosa direbbe Piero di questo luogo dimenticato, per cui lui si è giocato la vita. Forse sarebbe persino contento di vedere che Carlo ama Lucia, scritta tracciata con vernice spray nel 1998. Forse penserebbe che, in fondo, è bene che un luogo di guerra si trasformi nel rifugio di due innamorati, chi può saperlo. Quel che è certo è che bene non penserebbe di chi oggi aspetta in silenzio che questo forte crolli, salvo poi dire che d’altronde non si poteva fare, non si poteva dire, non si poteva scegliere diversamente. Piero vedrebbe di buon occhio una biglietteria all’ingresso, un percorso storico ben strutturato all’interno del forte – messo in sicurezza.

Piero ascolterebbe con sguardo attento le parole della guida, parole che finalmente spiegherebbero le ragioni di un conflitto che lui, personalmente, non è riuscito a capire prima di morire. E penserebbe che è servito a qualcosa il suo sacrificio, se non lo abbiamo dimenticato. Se lo abbiamo ricordato, se abbiamo … Imparato.
