Il “Castello di Mussolini” con gli occhi di Zvi

Nell’ultimo articolo vi ho raccontato per sommi capi la storia della ex colonia fascista di Selvino. Voglio ora soffermarmi sull’umanità di un incontro che mi ha toccato il cuore, per quanto breve e inaspettato. Ci trovavamo in loco per documentare lo stato attuale di quello che potrebbe – o dovrebbe, a seconda del proprio pensiero – essere un luogo della memoria, quando all’improvviso abbiamo sentito delle voci che provenivano proprio dall’esterno della struttura.

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Avendo momentaneamente sospeso la nostra attività ci siamo spostati all’esterno del cancello, dove abbiamo incontrato un gruppetto di persone tra le quali spiccava la figura alta e magra di un uomo anziano: era Zvi Dotan, classe 1936, giunto a Selvino quando aveva dieci anni e rimastovi fino al 1948.

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Zvi ha voluto tornare quest’anno a Sciesopoli per rendere omaggio al luogo che, dopo la persecuzione e le sofferenze vissute in una Polonia antisemita, gli ha offerto la possibilità di imparare nuovamente a vivere. Non voglio raccontare io la storia toccante di quest’uomo, lascio la parola a chi a Selvino lo ha accolto – insieme alla sua famiglia – per offrirgli un caloroso benvenuto: vi invito a leggere l’articolo a questo link – https://www.sciesopoli.com/news/zvi-dotan-pelz-02-06-2018/ – e ad ascoltare l’intervista.

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Quel che posso aggiungere di mio a quanto già è stato detto è la mia personale emozione nel trovarmi dinanzi un protagonista, suo malgrado, della Storia. In un momento in cui, peraltro, assistiamo purtroppo ad un certo sgraditissimo tipo di revisionismo storico ho trovato provvidenziale ed illuminante questo incontro fortuito. Mi piacerebbe poter descrivere quegli occhi commossi che ancora una volta posavano lo sguardo sul “Castello di Mussolini”, come Zvi era solito chiamare Sciesopoli; mi piacerebbe potervi trasmettere il calore umano di quel volto segnato dall’età e dalle intemperie della vita.

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Zvi ha voluto portare qui tutta la sua famiglia per mostrar loro le origini, le radici. Selvino per molti è stato anche questo: luogo ove radicarsi sebbene in modo provvisorio, ove riprendere fiato ed equilibrio, per un attimo, dopo sconvolgimenti e persecuzioni e traumatiche esperienze. Selvino è stata una patria temporanea, un esercizio d’allenamento, potremmo forse dire, che ha preceduto l’inserimento nel contesto del neonato Stato d’Israele. Sciesopoli come un altro muro del pianto, a cui tentare di appendere ricordi mai sepolti del tutto o superati; Sciesopoli come una casa-madre, ventre protettivo e ristoratore.

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Non posso che augurarmi con tutto il cuore che questo piccolo grande capitolo della Storia non venga dimenticato. Per far sì che non lo sia raccontate, uomini; raccontate. Nella parola è il passato e l’unica speranza che rimanga tale.

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