Villa Giuliari, una meraviglia neoclassica.

L’avevo chiamata la villa del camino rosso, a causa della vernice con cui qualcuno, decisamente con poco gusto, ha ricoperto uno dei caminetti monumentali. Il nome reale di questa meravigliosa dimora è Villa Giuliari: per raggiungerla ci spostiamo a Buttapietra, in provincia di Verona.

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Il camino deturpato dalla vernice – The fireplace defaced with red paint.

Nel 1500 la famiglia Giuliari vanta già diverse proprietà in zona, si tratta di una famiglia facoltosa, cui appartengono molti terreni coltivati a vite. Nel 1700 il Conte Girolamo Giuliari affida dall’architetto Alessandro Pompei la realizzazione di una villa padronale che vada a sostituire la preesistente, ormai troppo angusta e superata. I lavori terminano nel 1755, dando vita alla maestosa residenza di sapore neoclassico che ancora oggi possiamo apprezzare.

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La vista sul pronao – View of the pronaos.

C’è un’epigrafe nel pronao, che potete vedere nella mia fotografia, nella quale viene ricordata la data di fine lavori: “Il Conte Girolamo de Giuliari e la Contessa Beatrice della Torre eressero, completarono, ornarono.”

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L’epigrafe – The epigraph.

Quando attraversiamo il campo antistante l’ingresso per recarci alla villa è autunno inoltrato. Una di quelle giornate piovose, senza vento, senza speranza alcuna che un raggio di sole sollevi la cappa di nebbia che spesso cala su queste zone. Il cancello che dà sulla strada sembra un grande ingresso su un mondo svanito: il parco sontuoso e curato che i coniugi avevano realizzato ai tempi è completamente sparito.

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Il grande cancello che si apre sul nulla – The gate of the garden.

Si intravedono i resti di qualche colonna e di una fontana, ma nulla più. Le foglie cadute, intrise di umidità e nebbia, attutiscono i nostri passi. Entriamo dal portone spalancato, accendiamo le nostre lampade frontali e torniamo con piacere al XVIII secolo. I Giuliari, nel giro dei due secoli precedenti, hanno arricchito i loro possedimenti con campi coltivati a foraggio, mais, gelso, frumento. La villa è il fulcro delle attività della famiglia, e tale centralità è sottolineata anche architettonicamente parlando dalla struttura racchiusa tra due ali porticate – un tempo scuderie e stanze adibite ad uso agricolo.

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Una delle scalinate – One of the stairs.

La vista frontale è magnifica e perfettamente simmetrica: un’importante scalinata conduce al pronao, affiancato da finestre timpanate; cominciano poi i porticati dorici che terminano con due piccoli edifici ecclesiastici. Quello di destra è la chiesetta dedicata a Sant’Elena, ancora oggi occasionalmente utilizzata. Se già dall’esterno è possibile rendersi conto del gusto per la simmetria, l’interno non fa che confermare questa impressione: dal grandissimo salone centrale due eleganti scale in tufo, che si fronteggiano in perfetta armonia, portano ai piani superiori.

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Una delle scalinate – One of the stairs.

La villa oggi è completamente vuota tranne che per qualche mobile senza alcun tipo di valore, ma ciò che la riempie e la rende ancora sontuosa e preziosa sono le decorazioni: sul soffitto del salone principale è rappresentato l’Olimpo, in particolare è veramente bella la raffigurazione di Diana colta nel momento del riposo dopo la caccia (attribuita al pittore Brida).

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L’Olimpo: Diana si riposa dopo la caccia – Olympus: Diana rests after hunting.

Già ampi lacerti si sono staccati dal soffitto per l’umidità e le infiltrazioni, è stato fatto qualche intervento, ma purtroppo troppi sono i soldi che occorrerebbero all’attuale proprietario per proteggere e conservare questa dimora. E’ il destino di molte ville simili. Mentre un putto scioglie le reti dell’uccellagione ed un’ancella slega il calzare della dea, Bacco – al centro della scena – si diletta ornato da un ramo di vite, accompagnato da un’altra divinità (probabilmente Aurora o Cerere). I temi sono chiaramente quelli legati al mondo agricolo: il trascorrere del tempo, l’alternarsi delle stagioni, la vendemmia, la caccia.

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Uno dei misteriosi volti al piano superiore – One of the mysterious faces

Pensare che Villa Giuliari nella sua lunga vita ha visto anche gli anni del colera, scoppiato a Buttapietra nell’anno 1855. Don Giacomo Franchi, parroco del paese, ha già i suoi anni e necessita un aiuto per gestire la situazione emergenziale – non dimentichiamo che, in quegli anni, i religiosi erano spesso gli unici a prendersi cura dei malati quando questi appartenevano alle classi meno abbienti.  Gli viene affiancato Daniele Comboni, che fortuna vuole abbia studiato anche un po’ di medicina: insieme allestiscono il lazzaretto proprio nel parco di Villa Giuliari, ed il giovane religioso riesce a supplire egregiamente (per quanto e come la scienza medica dell’epoca lo permetta) alla mancanza di un medico a Buttapietra. Si tratta proprio di quel Daniele Comboni che sarà fatto Santo, dopo aver speso la sua intera vita ad assistere i poveri in Africa: si può ben dire che avesse già dimostrato di sapersi sporcare le mani e di amare profondamente gli ultimi.

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Il bel balconcino – The beautiful terrace.

Al piano superiore ciò che mi incanta è la stanza “dai mille volti”. Vuota come le altre, mi sorprende con le sue decorazioni alle pareti che raffigurano visi tutti diversi uno dall’altro: i lineamenti sembrano letteralmente uscire dallo stucco, quasi a volersi liberare da una materia che li opprime. Devo confessare che la prima reazione è stata rabbrividire, e pensare come mai si possa riposare serenamente in una stanza simile. Questi volti sembrano veramente fantasmi, non somigliano a ritratti e nemmeno hanno fattezze tali da evocare emozioni positive: sembrano vere e proprie presenze pronte, appena cala il buio, a staccarsi piano piano dalle pareti per farsi più consistenti – e più vicine, passo dopo passo. Hanno lo sguardo vacuo, sospeso; le linee del viso protese verso l’alto – come fossero contratte dallo sforzo di non farsi trascinare indietro, dal misterioso regno oltre al muro dal quale son venute.

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Fantasmi…? – Ghosts…?

Anche su uno dei monumentali camini al piano terra un volto mi attende: questo è sicuramente un ritratto, ma non si perde quella sensazione di inquietudine nel contemplarlo. Sembra uscito da uno di quei film horror di quartultima categoria, non me ne voglia l’artista; qualcosa come Haunting (Presenze) che nel 1999 la critica ha bastonato ma per me non a dovere.

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Il ritratto sul camino – Portrait on the fireplace

Chi ha visto la pellicola di cui parlo ricorderà i volti dei bambini animarsi dai fregi sul camino e chiamare a mezza voce la protagonista mentre dorme in un letto troppo grande per lei. I sussurri, gli echi, lo svolazzare di tende mosse da un vento senza origine: c’è tutto il repertorio qui, non manca che il regista. Scendo nei sotterranei, ma invece che un vecchio scritto che dà prova di poveri innocenti uccisi trovo una cantina che mi inebria di un odore muschiato, misto a quello di putrefazione. C’è qualche animale qui sotto che ama usare le vecchie stanze come tana, lasciandovi escrementi ed avanzi di cibo.

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La cantina – The cellar.

Per me è questa l’essenza dell’abbandono: questo odore di muffa e polvere, di vecchio, di stantìo. E’ un odore sul quale si potrebbe scrivere un libro intero, un odore che nemmeno il protagonista del romanzo Profumo sarebbe forse riuscito a ricreare in provetta. Perchè è sì odore di carta marcita, di conserve andate a male, di sporcizia, di stanze rimaste chiuse per molto tempo senza cambiare aria. E’ tutto questo, ma è anche molto di più. C’è in sottofondo una nota dolciastra e selvatica, una nota che sa di sudore, di tane in cui si annidano le creature più inimmaginabili, di disfacimento. E l’odore della paura, l’odore dei mostri che ognuno di noi temeva di incontrare da piccolo scendendo in cantina… e che nel proprio cuore teme ancora.

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***

This big neoclassical mansion was built during the XVIII century in the North of Italy by a family called Giuliari. All abandoned, now it’s wide open and empty, except for the wonderful paintings you can still see in my photos. Once there was also a beautiful garden in front of the building, as you can imagine now it’s just a patch of weeds. Inside the mansion, in the main room, there are two beautiful tufa stairs which lead to the second floor. They’re perfectly symmetrical, as the neoclassical architecture requires. During the XIX century the garden was also used as a lazaret for cholera victims. On the ceiling of the hall, you can see the Olympus with two of its deities, Diana and Bacchus. When I went upstairs, what really impressed me was a room I called the thousand faces’ room. On every wall of this beedroom there are faces realized with stucco, but we are not talking about beautiful portraits… it seemed to me the artist tried to represent ghosts, striving to escape from the walls. Even the portrait I saw on the fireplace perturbed me, surely this is an interesting place for who’s keen on this kind of things. The atmosphere reminded me of a film I saw in 1999, Haunting – with Catherine Zeta Jones and Liam Neeson: not a masterpiece, I know,  but do you remeber the children’s faces rising from the wooden fireplace? That’s it. When I went down in the cellar, I breathed in the smell of something rotting: that’s what I call the “aroma of abandonment”. It’s not just the smell of dirt, mould, dust… it’s something more, it’s the smell of fear. Can you remember yourself opening the cellar door when you were a child? This is the smell of your ancient fears, my friends… they never went away.

 

 

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